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cultura

Publié le 01 juillet 2010 par Tarantaracparis

Cultura

I racconti tramandati dagli avi salentini seduti intorno al fuoco del caminetto andrebbero visti con gli occhi della credenza popolare e della magia. Riti religiosi e culti pagani sono legati al fanatismo o alla pratiche magiche: tarantismo, streghe, maghi, fattucchiere L'elemento fondamentale che contraddistingue il Salento nasce da una religiosità popolare che si presenta come un intreccio di credo e magia, di cristiano e pagano, di arcaico e moderno. Questo elemento caratterizzante è l'uso della danza e della musica in funzione ora cerimoniale, ora terapeutica; un'arte che rimanda, con la propria ricca simbologia, a miti e archetipi lontani, comuni del resto ad altre civiltà mediterranee.

Nella Grecìa Salentina, isola ellenofona di nove comuni, si conserva l'idioma greco, le tradizioni e la cultura. Importante è nel Salento la contrapposizione che ci fu tra rito greco e latino, specialmente dopo il concilio di Trento.

Riti pasquali

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Gallipoli.
Francavilla Fontana; nel tarantino sicuramente si raggiunge l'apice nella processione dei Misteri a Taranto.


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venerabile Confraternita di S.Eligio

Confraternita di Maria SS.ma del Carmine

Folclore danze popolari e il boom della musica folk in Puglia e nel Salento

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Pizzica, tammurriata, tarantelle, corsi di balli popolari tenuti qua e là, insegnanti che spuntano come funghi, maestri di tamburello sfornati come panini, gruppi di musica folk che nascono e muiono nel giro di qualche serata, ma anche piazze zeppe di giovani che ballano sotto il ritmo incalzante di danze antiche. Cosa sta succedendo in Puglia? Un grande interesse per il folk, non c'è dubbio, ma dai contorni indefiniti e dalle prospettive incerte, se guardiamo più in là, oltre l'abbaglio del momento e l'euforia di un successo che non sembra in grado di resistere all'ubriacatura di questi ultimi anni. Un fenomeno che coinvolge migliaia di giovani, decine di manifestazioni musicali, centinaia di musicisti e band, corsi e stage difficilmente censibili, appassionati e improvvisatori dell'ultima ora, sponsor e interesse dei media, operatori turistici, compensi da capogiro per le star della musica popolare e un buon fatturato di vendite. Ma anche, purtroppo, poca ricerca sulle tradizioni contadine e paesane.

L'argomento ci è così sembrato degno di una ricognizione in loco, un viaggio cioè nelle aree di maggior diffusione del folk per capire ragioni e interrogativi di un fenomeno che da formidabile risorsa economica e culturale rischia di trasformarsi in una moda dal fiato corto. Una preoccupazione condivisa, tra Bari e provincia, da alcuni giovani ricercatori come Gimmy Stea, musicista di Bitetto: "Pochissimi gruppi fanno ricerca sul campo- spiega- e ancor meno quelli che la ricerca l'han fatta sul proprio territorio. Il repertorio, a parte qualche variante, è sempre lo stesso: cover dei Musicanova o della Nuova Compagnia di Canto Popolare o degli 'e zezi, qualche canto salentino facilissimo da reperire, jam session finale con una interminabile e improbabile pizzica pizzica".

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I gruppi? "Tra Bari e provincia se ne possono contare una ventina fissi e tanti altri dalla vita breve, gruppi cioè nati e seppelliti dopo il concerto in un pub, formazioni messe insieme per l'occasione che si esibiscono per 25-50 euro". Il panorama non è esaltante. A parte i pochi casi di insegnanti che hanno imparato a ballare direttamente dalle fonti, cioè dagli anziani, pur in assenza di uno studio adeguato, la maggior parte ha solo frequentato qualche corso nei soliti due o tre locali baresi. Si nasce allievi e con poco si diventa insegnanti, in una parabola discendente che ha ingrossato le fila dei "maestri" a scapito della qualità e della reale conoscenza della tradizione. Il tutto in un clima di improvvisazione e fai-da-te, che certo non giova alla riscoperta del folk pugliese ed anzi rischia di trasformarlo in un fenomeno da baraccone. "Il mercato è saturo -continua Gimmy Stea- e i corsi sono diminuiti notevolmente".

Esito, del resto, prevedibile di fronte a un prodotto, la musica folk, vissuto come consumo usa-e-getta e non già come valorizzazione della tradizione contadina pugliese attraverso la ricerca. Già, la ricerca etnomusicologica è la grande assente e questo ha portato ad un'assimilazione disinvolta tra danze diverse in un calderone che annulla e appiattisce stili, storie e tecniche esecutive. Sicchè pizzica e tammurriata, rispettivamente di origine salentina e campana, la fanno da padrone in tutte le feste, che poi sono gli stessi appuntamenti ove si ignorano altri stili molto più vicini alla tradizione del barese. E pensare che il panorama della musica popolare a Bari è piuttosto ricco (La compagnia dei musicanti, il gruppo Terre, gli Areantica, i Radicanto, i Rosa Paeda), gruppi consolidatisi anche con la produzione di alcuni CD, ma la ricerca sul campo nella nostra provincia resta ancora limitata, nonostante i segnali di inversione di tendenza che vengono dai Terrigenae di Bitetto, gli Uaragnaun di Altamura, i Cantaiatra di Molfetta. Ma l'interrogativo resta inquietante. E' solo moda? E' un fenomeno destinato ad un lento ma irrimediabile declino? Ieri il jazz o la musica irlandese, oggi la pizzica e la tammurriata e domani chissà cos'altro?

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Se potete, fate un salto la sera di Ferragosto a Torrepaduli, nel sud leccese, durante la festa di San Rocco. Gli anziani, che in realtà sono gli ultimi depositari delle autentiche esecuzioni di danze e musiche centenarie, e dunque materiale prezioso per chi fa ricerca, sono scomparsi già da un paio d'anni. Orde di tamburellisti e ballerini vocianti hanno preso caoticamente il loro posto, invadendo letteralmente piazzette e spazi, prima destinati agli anziani, con modalità che ignorano tempi e spazi del mondo contadino a cui quelle danze appartengono. Il risultato è disastroso: la gente del posto non ha più la possibilità materiale di ballare la caratteristica danza delle spade, sospinta ai margini della festa da frotte di persone che eseguono, nella migliore delle ipotesi, balli che ormai hanno ben poco in comune con l'originaria pizzica salentina, ed anzi ne hanno stravolto passi e ritmi, quando non l'hanno addirittura assimilata a qualche dance da discoteca.

Il quadro non cambia se ci spostiamo di poco, a Galatina, ove negli anni 60 l'etnologo napoletano Ernesto De Martino ha condotto i suoi studi sul tarantismo. La festa del 29 giugno presenta profili analoghi a quelli di Torerepaduli: i giovani che si accalcano sulla grande piazza simulano le mille varianti della pizzica, mentre a due passi la vecchia chiesetta di San Paolo, in cui le donne tarantate eseguivano il rito coreutico, mostra i segni di un abbandono ingiustificato. "E' evidente che uno dei pericoli in agguato è rappresentato dal risvolto commerciale che queste iniziative incarnano -precisa Loredana Viola del Centro sul tarantismo e costumi salentini di Galatina- alcune grosse manifestazioni musicali si configurano oggi come un grande business. Tuttavia la traduzione delle nostre risorse culturali in risorse economiche e turistiche resta un elemento positivo per il territorio". Un segnale di buon auspicio per il futuro che s'innesta nel nuovo corso che Galatina ha inaugurato fin dalla scorsa estate con una pattuglia di giovani, come Loredana Viola e Alessandro Mangia, certi che la riappropriazione della sua storia e della sua identità passi attraverso una ricerca seria e un cambio generazionale e di mentalità.

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Il Salento oggi è un proliferare di sagre, feste, esposizioni e degustazioni di prodotti tipici, corsi e stage nelle scuole e in mano ai privati, un circuito turistico che va oltre la stagionalità, ma che deve fare i conti con i capricci del mercato e delle sue mode. E certo il Salento ha le potenzialità per scongiurare questa deriva, a cominciare dai suoi studiosi, Luigi Chiriatti, Pierpaolo De Giorgi, Paolo Pellegrino, Maurizio Nocera, Giorgio Di Lecce, per citarne alcuni. "Pur ritenendo che il fenomeno in parte sia moda, ci auguriamo che quando questa moda sarà passata, rimanga poi l'essenza di questo movimento, cioè il profondo e sincero attaccamento al nostro patrimonio culturale" conclude Loredana Viola. Ma i dubbi restano.

Una conferma viene da Pino Gala, studioso di danze popolari da ventidue anni. Ha documentato decine di varianti di pizzica nel Salento, a conferma di una contaminazione che sta cambiando la natura stessa della danza salentina, relegandola in un repertorio destinato a finire nel dimenticatoio dopo la vulgata del momento. "Un certo grado di improvvisazione nell'offerta dobbiamo aspettarcelo. Se pensiamo alla pizzica dobbiamo dire che spesso ci troviamo di fronte a una danza lontana da quella ballata dagli anziani". La strada dev'essere un'altra: quella di preservare l'impianto autentico di ritmi e danze, luoghi, contesti storici e ambientali che possono alimentare itinerari turistici permanenti utili al territorio. L'alternativa è un business per pochissimi destinato ad esaurirsi presto e a lasciare il vuoto. Chi invece sembra essersi avvantaggiato del fenomeno folk è qualche artista calato nella nostra regione per rifarsi il look.

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Un salto nel Gargano aiuterà a chiarirci le idee. Giungiamo a Carpino, entroterra garganico, sede del Carpino Folk Festival. Il paesino è riuscito a costruire, partendo proprio dai famosi cantori, un'occasione di rilancio economico e sociale. A una condizione, però. Quella di non farsi colonizzare dalle promesse di questo o quel cantautore. Un meccanismo di difesa che, dopo la discussa collaborazione con Eugenio Bennato, sta frenando la contaminazione modernista di canti e balli. I ritmi e le strofe dei cantori sono da anni materiale di ricerca etnomusicologica. Vi giungono negli anni 60, tra gli altri, Alan Lomax, Diego Carpitella, Roberto De Simone, Roberto Leydi. Il decennio successivo richiama a Carpino altri musicisti, ma i motivi di ricerca sembrano lontani. Nel '74 toccherà a Eugenio Bennato: ne seguirà un disco che contiene quattro brani da sempre cantati da Andrea Sacco, il più anziano dei cantori, ma il suo nome non comparirà. "Abbiamo alle spalle una storia di rapine. -commenta Peppino Di Mauro dell'Associazione Carpino Folk Festival- Tanti artisti hanno pubblicato canzoni di Carpino senza mai interpellare i cantori". Oggi la direzione del festival, e delle sue iniziative didattiche sulle tarantelle del Gargano, è nelle mani dei giovani di questa associazione, fedeli all'idea del suo ideatore, Rocco Draicchio, nel difendere le ragioni di un patrimonio inestimabile di musica e poesia. E ciò, nonostante le sirene di un mercato che vuole cambiare giungano intriganti fin dentro il paesino garganico.

Se Carpino ha scelto di non essere terra di conquista e non cedere agli ammiccamenti di un facile successo, ha scelto di difendere la sua memoria. Certo che senza memoria non c'è futuro.

Leggende acchiatùra [ritrovamento, tesoro nascosto]

Ce hai cchiàtu, l'acchiatura? Che hai trovato, il tesoro?

Era un modo di dire, che stava ad indicare un facile arricchimento di qualcuno. L' acchiatùra era un ritrovamento di denaro o di gioielli nascosti sotto il pavimento o nei muri oppure conservati in capase (anfore di terracotte) sotto terra. Altre volte la gente parlava di acchiatùra riferendosi a qualcuno che aveva saputo amministrare bene il suo denaro. Il segreto veniva svelato da un morto oppure dalla Vecchia che era la moglie dell'orco Nanni (Nànniorco) venuto in sogno.

Nel Salento si tramandano diverse storie di acchiatùre: ne raccontiamo alcune.

Il tesoro più ricco di tutto il Salento era stato nascosto a Roca Vecchia dalla regina Isabella, prima dell'invasione turca. Aiutata dai suoi fedelissimi, aveva fatto scavare un pozzo profondo tre metri e, calato il tesoro chiuso in uno scrigno di bronzo, aveva fatto coprire il pozzo con dei massi. Per trovare il tesoro era necessario che una coppia di giovani innamorati scavasse nel punto indicato dal morto nel sogno; dopo il primo metro di scavo si sarebbe trovata una croce di ferro, dopo il secondo metro una statuetta della Madonna di Roca, al terzo metro lo scrigno di bronzo del tesoro che avrebbe dovuto essere aperto sul luogo prima di essere rimosso. Si dice, invece, che due innamorati, non eseguirono le istruzioni e continuarono a scavare con il piccone e la pala e sparirono per sempre.

Ai Massi della Vecchia, sorta di megaliti che si trovano nelle campagne di Giuggianello, in cui vi erano tra le altre cose il letto e lu furticìddhu (conocchia) che la Vecchia faceva roteare velocemente nelle gelide giornate invernali per creare una sorta di riparo per animali e vegetali che sono sotto di essa. L'acchiatùra della Vecchia era costituita da dodici chiocciole d'oro. Per raggiungere il tesoro si affronta la Vecchia il giorno di S. Giovanni. La Vecchia porrà tre domande a cui si deve rispondere senza distogliere lo sguardo dalla Vecchia; se la persona distoglie lo sguardo o sbaglia le risposte, viene pietrificata all'istante divenendo uno dei massi della Vecchia.

Un altro modo più semplice per raggiungere l'acchiatùra (il tesoro) è quello di ubriacare un prete in maniera che questi dia l'ostia consacrata ad una capra, simbolo del diavolo. La notte stessa la Vecchia indicherà il punto esatto dove scavare.

Un'altra mitica acchiatùra si trovava a Corigliano. Infatti, una notte ''mesciu Ninu'' (maestro Nino) di Corigliano ed il figlio andarono a prendere l'acchiatùra. Arrivati sul posto, videro un uomo seduto sotto un albero, che disse loro: "Se volete prendere l'acchiatùra dovete radermi la barba". I due avevano quasi terminato di radergli la barba e, mentre stavano tagliando gli ultimi peli dei baffi, l'uomo emise un rumoroso grugnito, per il quale si levò un forte vento che sollevò i due in aria e li scaraventò a terra. Quell'uomo a cui i due non erano riusciti a radere completamente la barba era il diavolo. Così i due non presero l'acchiatùra.

Spiriti

Gli spiriti sono le anime dei morti che, secondo la credenza popolare, possono girovagare in paese, nelle case o, molto più spesso, nei luoghi solitari e oscuri e nelle cappelle extraurbane poco frequentate o abbandonate del tutto. Talvolta appaiono delle figure umane vestite da prete oppure con piedi di bue o maiale. Questi sono spiriti che terrorizzano la gente. Infatti, ancora oggi, i più anziani di Sternatìa ammoniscono i giovani affinché non si rechino di notte o da soli presso la chiesetta extraurbana della S.S.Trinità, meglio conosciuta come Cappella dello Spirito Santo situata sulla via che dal paese conduce allo stagno del Capraio.

Miti mamàu [uomo nero]

Il mamàu è un personaggio fantasma, senza volto e dalla figura imprecisata, che la fantasia popolare ha inventato e che tira fuori a scopo intimidatorio, per far smettere azioni dannose o pericolose oppure al contrario per sollecitare azioni necessarie e utili al bambino.

Il mamàu a volte si identifica in oggetti (coltelli, martelli), altre volte in animali (cani, lupi, vermi) chiamati a far spavento oppure infine persone (accattoni, vecchi, carbonai, gente con sacchi o bisacce,) che si incontrano e che vengono indicate al bimbo a riprova di quanto gli è stato raccontato.

Il Mamàu è una minaccia continua perché misteriosa e può mettere i bimbi nel sacco oppure mangiarseli. La voce del mamàu ha la caratteristica di incutere paura e corrisponde a voci cavernose emesse dagli adulti o a rumori casuali fatti ascoltare appositamente al bambino che associa al buio l'indefinibile immagine del Mamàu. Molti conflitti dell'infanzia hanno avuto origine dalle paure ingiustificate di questo tenebroso personaggio.

Masciàra (macara) [fattucchiera]

La figura della masciàra assume un ruolo importante nelle tradizioni popolari. Era una sorta di strega-fattucchiera e si occupava di filtri e medicine ritenute magiche ma che, nella maggior parte dei casi, erano infusi o decotti d'erbe molto comuni. La masciàra era anche in grado, mediante opportuni massaggi e stiramenti nervosi, di ottenere ottimi risultati per distorsioni, lussazioni ecc..

La masciàra è in grado di far scomparire, con formule magiche e preghiere apprese dalla madre la notte di un venerdì santo lu nfàscinu (malocchio che si manifesta con un forte mal di testa, febbre, vomito. Lu nfàscinu viene esercitato per invidia, con sguardi e parole, da persone che sono iettatrici per costituzione oppure per occasione.

Per tradizione popolare ci sono delle precauzioni che si possono prendere contro il malocchio.

Doi occhi te ndocchiàra,
Due occhi ti adocchiarono,

Così facendo si ha la possibilità di individuare lo iettatore che è di sesso maschile se il chicco è in posizione verticale nell'acqua; se invece galleggia orizzontalmente è di sesso femminile.

Scjakùddhi (carcalùru, lauru, monacizzu, scazzamurièddhu, uru) [elfo dispettoso]

Lu scjakùddhi altro non è se non il dairnon dei greci, oppure l'incubo dei latini che durante la notte si sedeva premendo sullo sterno, impedendo la respirazione e provocando brutti sogni. Poteva essere ora tormentatore degli uomini, ora benefico. Lu scjakùddhi era descritto come un essere molto basso, ancora più piccolo di un nano, con un cappello rosso a sonagli in testa e ben vestito. Era un folletto tra il bizzarro e l'impertinente, cattivo con chi l'ostacolava o svelava le sue furberie, benefico con chi gli usava tolleranza.

Bazzicava volentieri le stalle dove spesso si innamorava della cavalla o dell'asina che meglio gli garbava, l'assisteva e l'accarezzava, nutrendola della biada sottratta alle compagne o alle stalle vicine e intrecciava code e criniere, quando i cavalli non gli permettevano di mangiare la biada con loro. Lu scjakùddihi era il dio tutelare dei frantoi di olio, specie di quelli ipogei sua stabile dimora. In passato, quando nelle fredde serate autunno-vernine si vedevano esalare fumi dai fori sovrastanti il frantoio si pensava allo scazzamurièddhu che veniva considerato come il benefattore dei poveri e il folletto del focolare domestico. Spesso, si immaginava che fosse l'anima di un morto, che non aveva ricevuto i sacramenti.

Stiàra [strega]

La stiàra (strega) è una figura femminile che incute un certo timore; spesso viene identificata in un grosso gatto nero che di notte vaga sui tetti ìn cerca di bambini cattivi da rapire.

La stiàra di giorno è una donna normale, a volte felicemente sposata con un ignaro marito, ma che, allo scoccare della mezzanotte, si alza furtivamente, fa bollire certi intrugli in un pentolone e poi, dopo essersi unta con questi intrugli le piante dei piedi, le ginocchia, i palmi delle mani e la fronte, pronunzia la formula magica:

De subbra a scorpi,

Da sopra ai rovì,

A questo punto la donna si trasforma in un grosso gatto nero e si ritrova, come d'incanto, sotto un grosso albero di noce in compagnia di altri dodici gatti neri con i quali si lancia in una danza sfrenata attorno ad un albero. Dopo la danza, i gatti (le stiàre) vagano per il paese in cerca di bambini cattivi da punire o di adulti con i quali vendicarsi. Spesso, il giorno dopo, le stiàre portano sul corpo i segni delle scorribande notturne e, per giustificarsi con i parenti, sono costrette a raccontare fantasiose bugie.

De le stiàre ete ogni nuce

Delle streghe è ognì noce

musei del Salento

provincia di BRINDISI

Comune museo

Brindisi

  • Museo Archeologico Provinciale "F. Ribezzo"
  • Museo delle Arti e Tradizioni di Puglia
  • Museo Etnico della Civiltà Salentina "Agrilandia Museum"

Ceglie Messapica

  • Pinacoteca "E. Notte"

Egnazia

  • Museo archeologico ed area archeologica

Fasano

  • Museo Nazionale di Egnazia

Latiano

  • Museo del Sottosuolo
  • Museo della Ceramica "A. Ribezzi"
  • Museo delle Arti e Tradizioni di Puglia

Mesagne

  • Museo Civico Archeologico "U. Granafei"

Oria

  • Centro di Documentazione Messapica
  • Collezione "Martini Carissimo"
  • Museo Archeologico "F. Milizia"
  • Raccolta Kalefati

Ostuni

  • Museo di Civiltà Preclassiche della Murgia Meridionale

provincia di LECCE

Comune museo

Alezio

  • Museo Civico Messapico

Calimera

  • Museo Civico di Storia Naturale del Salento

Campi Salentina

  • Museo Pompiliano

Carpignano Salentino

  • Santuario della Madonna della Grotta
  • Cripta Santa Cristina

Copertino

  • Castello di Copertino

Cutrofiano

  • Museo Comunale della Ceramica

Galatina

  • Museo d'Arte "P. Cavoti"

Gallipoli

  • Museo Civico "E. Barba"

Lecce

  • Museo Missionario Cinese e di Storia Naturale
  • Museo Provinciale "S. Castromediano"
  • Museo Provinciale delle Tradizioni Popolari "Abbazia di Cerrate"
  • Pinacoteca d'Arte Francescana e Biblioteca Caracciolo

Maglie

  • Museo di Paleontologia e Paletnologia "D. De Lorentiis"
  • Agimi Centro Culturale

Nardò

  • Museo del Mare

Otranto

  • Castello di Otranto

Parabita

  • Pinacoteca Comunale "E. Giannelli"
  • Museo del Manifesto

Poggiardo

  • Museo degli Affreschi della Cripta di Santa Maria degli Angeli
  • Museo della Civiltà Messapica

Porto Cesareo

  • Museo di Biologia Marina

S. Cesario di Lecce

  • Museo "E. Leandro"
  • Museo Civico

Tuglie

  • Museo della Civiltà Contadina e delle Tradizioni Popolari

Ugento

  • Museo Civico Archeologico e Paleontologico "S. Zecca"

provincia di TARANTO

Comune museo

Castellaneta

  • Museo "Rodolfo Valentino"

Crispiano

  • Museo della Civiltà Contadina "Masseria Lupoli"

Grottaglie

  • Museo Didattico delle Maioliche
  • Museo dei Presepi

Laterza

  • Museo Didattico Archeologico

Lizzano

  • Museo Comunale della Conchiglia

Manduria

  • Antiquarium "Oltre le mura"
  • Museo Civico 2° Guerra Mondiale

Massafra

  • Chiese Ipogee

Monteiasi

  • Museo etnografico

Taranto

  • Museo Archeologico Nazionale
  • Museo Archeologico Nazionale a Palazzo Pantaleo
  • Museo di Biologia Marina
  • Museo di Storia Naturale

Riti tarantismo

taranta [tarantola]
Il tarantismo (o tarantolismo) è una sorta di esorcismo popolare che, sin dal lontano dal medioevo, spinge uomini e donne, che si ritengono morsi dalla tarantola grosso ragno ancora esistente nel territorio), a recarsi il 29 giugno in pellegrinaggio al pozzo presso la chiesetta di San Paolo a Galatina per essere liberati definitivamente dagli effetti del veleno che provoca nel malcapitato un languore mortale da cui si può essere liberati solo per mezzo della musica e dei colori.

Da qui l'uso di nastrini colorati (chiamati zagarelle) da legare al polso e di una musica ossessiva (la pizzica) che induce ad una danza sfrenata intorno al pozzo la cui acqua è considerata simbolo di purificazione. La musica è suonata da un'orchestrina con chitarra battente, mandolino, violino e tamburello. Gli orchestrali ingaggiati dai familiari dell'invasato recano normalmente a casa del tarantolato, per suonare e fargli venir fuori il veleno del ragno con la danza. Verso la soluzione della crisi la musica che accompagna il tarantolato ha suoni ora cupi, ora struggenti, che culminano in un crescendo di straordinario effetto. Le tarantolate un tempo, si recavano di buon`ora nella cappella di S. Paolo vestite di bianco e bevevano ,almeno fino a quando il pozzo non è stato chiuso per ragioni igieniche sanitarie, l'acqua del pozzo dove c'erano anche dei serpenti. Si lanciavano in una danza sfrenata al suono del tamburello fina a stramazzare al suolo vinte dalla fatica. La cura poteva durare anche diversi giorni.

Tarantate in Piazza S. Pietro (dipinto: Luigi Caiuli)
Il ricorso a S. Paolo è effetto della sovrapposizione del culto cristiano a quello molto più antico pagano dei serpenti. Anche la tarantola rappresenta un animale totemico le cui origini si perdono nella notte dei tempi e sono anteriori al menadismo, al coribantismo ed alle feste dionisiache a cui il tarantismo rimanda per gli aspetti orgiastici.

Il tarantismo è un fenomeno che emerge su tutti. Nella storia della medicina popolare salentina, esiste una connessione tra tarantati e i santi Pietro e Paolo che ricorda le visite ai templi asclepei dell'antica grecia:anche in quel caso i malati si recavano al tempio dei protettori per essere guariti. L'analogia non è casuale: profonda deve essere stata l'influenza della medicina greca nel Salento.

Sotto l'aspetto diagnostico è difficile definire il tarantismo come fenomeno, anzi si è riusciti a classificarlo. E' forse una specie di isteria, oppure la sua origine è da ricercarsi non in lesioni organiche neurologiche, ma in elementi antichi che hanno logorato e distrutto una psiche già debole a causa di fattori storico-sociali. Gli attacchi si manifestano in maniera molto simile all'isteria e, secondo la leggenda, sarebbero provocati dal morso della tarantola. Non si riesce a spiegare però la periodicità delle crisi che durano anche decine di anni. Si può dire che il tarantìsmo è un male culturale. Una volta, infatti, le donne che subivano frustrazioni per eccesso di fatica, povertà o tabù sessuali, non potevano fare altro che rivolgersi a S. Paolo per liberarsi dal male. San Paolo, in particolare, era considerato il Santo dei poveri e il protettore dagli animali striscianti (serpenti, scorpioni, ragni, e quindi anche la tarantola).

Danza delle spade

La danza delle spade è un antico duello rusticano un tempo eseguito con coltelli che oggi viene riproposto. I duellanti, mimando i coltelli con l'indice della mano nella piazza di fronte al santuario di San Rocco a Torrepaduli di Ruffano, si mettono in cerchio formando le cosiddette ronde e si fanno accompagnare dal sottofondo incalzante della pizzica. Si suona e si balla dal tramonto del 15 agosto per tutta la notte fino all'alba del 16 giorno dedicato al santo.

Santuari del Salento

provincia di BRINDISI

Comune santuario

Brindisi Santuario Santa Maria Madre della Chiesa

Carovigno Santuario Maria Santissima di Belvedere

Latiano Santuario Santa Maria di Cotrino

Mesagne Santuario Beata Vergine del Carmelo

Santuario Maria Santissima Materdomini

Oria Santuario di Sant'Antonio da Padova

Santuario di San Cosimo alla Macchia

provincia di LECCE

Comune santuario

Carpignano Salentino Santuario Maria Santissima della Grotta

Casarano Santuario Santa Maria delle Grazie

Castro Marina Santuario Maria Vergine del Rosario di Pompei

Cavallino di Lecce Santuario Madonna del Monte

Copertino Santuario Santa Maria della Grottella

Santuario San Giuseppe

Cursi Santuario Madonna dell'Abbondanza

Gagliano del Capo Santuario San Francesco di Paola

Galatina Santuario Madonna della Luce

Galatone Santuario Madonna delle Grazie

Gallipoli Santuario Santa Maria del Canneto

Lecce Santuario Beata Vergine Addolorata

Maglie Santuario Santa Maria Addolorata

Matino Santuario Beata Vergine dell'Addolorata

Melendugno Santuario Madonna di Roca

Nardò Santuario Beata Vergine Incoronata

Otranto Santuario Santa Maria dei Martin

Palmariggi Santuario Maria Santissima di Montevergine

Parabita Santuario Madonna della Coltura

Sanarica Santuario Madonna delle Grazie

Santa Caterina di Nardò Santuario Santa Maria dell'Alto

Santa Maria di Leuca Santuario Santa Maria de Finibus Terrae

Sant'Eufemia di Tricase Santuario Madonna del Gonfalone

Soleto Santuario Madonna delle Grazie

Squinzano Santuario Madonna del Garofano

Supersano Santuario Santa Maria Celimanna

Taurisano Santuario Maria Santissima della Strada

Taviano Santuario Beata Vergine Addolorata

Tricase Santuario Santa Maria della Serra

Santuario di Fatima

Ugento Santuario Santa Maria della Luce

provincia di TARANTO

Comune santuario

Grottaglie Santuario Madonna della Mutata

Laterza Santuario Santa Maria Materdomini

Martina Franca Santuario Madonna della Sanità

Massafra Santuario Maria Santissima della Scala

Pulsano Santuario Della Nova

Santuario Nostra Signora di Lourdes

San Marzano di San Giuseppe Santuario Madonna delle Grazie

Talsano Santuario Madonna di Fatima

Taranto Santuario Madonna della Salute

Tradizioni

Carnevale

Il carnevale che viviamo oggi, è giunto fino a noi per una contraffazione dei cerimoniali (o delle feste) che si rifaceva ai Saturnali, modificati nel Medio Evo con le feste degli innocenti o della festa dell'asino.

Le feste si svolgevano dal 28 dicembre fino all'Epifania all'interno delle chiese dove, oltre al popolo festoso, partecipavano chierici e sacerdoti mascherati nelle fogge più strane assumendo atteggiamenti anche scurrili e licenziosi. Gli stessi carri allegorici che contraddistinguono le odierne sfilate carnevalesche ricordano quelle dei carri che nei circhi della Roma imperiale simboleggiavano il passaggio dall'inverno alla primavera, propiziandone la fertilità.

Tituru [Teodoro], Paulino [Paolo]

Lu Tituru (Teodoro) nel carnevale gallipolino e lu Paulinu (Paolo) in quello leccese rappresentano il simbolo della tradizione locale legata al carnevale. A Lecce, nei rioni popolari, le feste di carnevale culminano nell'ultimo giorno con la morte del lu Paulinu, un fantoccio di stracci o di paglia disteso su di un carretto. Festoni di carta colorata e tralci di edera abbelliscono lo strano veicolo tirato da un paziente somarello, mentre due o tre uomini tinti di fuliggine sul volto, a mo' di prefiche, ne annunciano la morte, gridando:

E' muerto lu Paulinu, lu Paulinu miu. E' morto Paolino, il mio Paolino.

Dal giorno delle Ceneri, comincia il periodo di Quaresima (da "Quadragesimus", quarantesimo).

E' scurutu lu carniale
E' finito carnevale

Dopo le baldorie carnevalesche, e` consuetudine recarsi in chiesa per ricevere sul capo la cenere benedetta, simbolo di penitenza, ottenuta dalla combustione delle palme benedette l'anno precedente.

Quaremma [quaresima]

Nella tradizione popolare è rappresentata da una vecchietta con la conocchia in mano ed un' arancia amara, con sette penne infilzate. Questo fantoccio viene appeso al camino all'inizio della quaresima ed ogni settimana si sfila una penna dall'arancia. L'ultima penna viene sfilata a Pasqua, giorno in cui si butta nel fuoco la quaremma.

In alcuni paesi del Salento ancora oggi, si espone ai crocicchi quale monito di penitenza. Arrivata Pasqua la quaremma si distrugge. Si cosparge di liquido infiammabile, le si mette na battaria nculu (una serie di petardi nel didietro), e si incendia saltando in aria disintegrandosi, tra l'allegria di tutti.

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